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La sindrome del cappellaio matto

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Per molti rappresenta un ricordo d’infanzia. In particolare una favola scritta da Lewis Carroll e che si intitola “Alice nel paese delle meraviglie”. É proprio tra le pagine di questo libro che compare per la prima volta un personaggio strambo: the mad hatter, il cappellaio matto. Al di là del gioco di parole, alla base di questa singolare denominazione c’è un modo di dire che riguarda i lavoratori dell’industria dei cappelli che erano considerati matti. Vediamo insieme perché.

Perché i cappellai erano considerati matti?

Tutto ha origine nella lavorazione. Generalmente questi cappelli erano realizzati in pelliccia animale che veniva trasformata in feltro. Prima che ciò avvenisse, era necessario rimuovere tutti i peli. Prima del XVII secolo il processo avveniva mediante l’utilizzo di urina umana dei malati affetti da sifilide. Come mai? Perché durante quel periodo la sifilide era curata con il cloruro mercurico che era perfetto per lavorare le pelli in modo eccellente.

Con il passare del tempo il processo produttivo si trasformò radicalmente: si smise di usare urina e al suo posto si iniziarono ad usare vasche calde di nitrato mercurico [Hg(NO3)2], che risultava decisamente più performante nella resa e quindi nella lavorazione dei cappelli in feltro.

Gli effetti tossici

In realtà, come spesso accade, la velocità non va d’accordo con la salute. Il nitrato mercurico, infatti, si rivelò ben presto altamente tossico per i lavoratori. Il sintomo più manifesto era il tremore delle mani che fu definito Uno dei primi sintomi era un caratteristico tremore delle mani, conosciuto proprio come il tipico “tremore del cappellaio”.

Ma non è tutto. Da lì a poco iniziarono ad emergere altri sintomi psico-somatici che coinvolgevano anche il linguaggio disarticolato, l’instabilità emotiva, le allucinazioni diurne e notturne e addirittura la morte. Ecco, quindi spiegato il motivo della famosa locuzione “cappellaio matto”.

Perché si è persa traccia della sindrome del cappellaio matto?

La tecnologia l’avanzamento delle conoscenze scientifiche e infine le innovazioni hanno permesso di superare la sindrome del cappellaio matto. Certo, non è avvenuto subito. Ancora negli anni ’30 del ‘900 si notava una eccessiva timidezza a livello comportamentale tra chi ne era afflitto, oltre a una certa tendenza all’autoisolamento. A partire dagli anni ’40, però, si decise di vietare il mercurio per i rischi connessi alla salute. Al suo posto si stabilì di utilizzare il perossido di idrogeno.

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